30 novembre, 2015

Intervista a Francesca Fiorletta


 Intervista a Francesca Fiorletta


1- Come nasce l'idea di questo tuo ultimo romanzo, "More uxorio"?


"More uxorio" non nasce esattamente come libro, in realtà. Volevo scrivere un omaggio, molto privato, che fosse ironico, giocoso ma anche pieno di romanticismo e buoni auspici per una cara amica, in occasione - appunto - del suo imminente matrimonio. E invece la scrittura mi ha preso la mano, già dalle primissime righe, finché il progetto è decisamente cambiato, per abbracciare una realtà più globale, ed è diventato quello che potete leggere oggi.

Sono molto affezionata a questo testo, che ho scritto ormai qualche anno fa, proprio perché è stata un po' la spinta che mi ha fatto "uscire allo scoperto": probabilmente scrivo da quando ho memoria, ma non avevo mai trovato il coraggio di confessarlo davvero a me stessa, e agli altri.


2- Che ruolo ha il matrimonio nella vicenda narrata nel libro?

Quello che mi interessava evidenziare, principalmente, è la differenza di percezione della realtà, e delle possibili prospettive di vita che hanno i/le trentenni oggi. In quest'ottica, il matrimonio è stato un pretesto come un altro, forse con un impatto immediato più forte, per tutto il bagaglio di emotività che evidentemente si porta dietro una scelta del genere. E poi mi sembrava che si accordasse bene, oltre a tutta la sfera dei sentimenti possibili, anche a quella decisamente non trascurabile legata al dato economico, alla precarietà o meno di un'ipotetica carriera lavorativa, imprescindibile quando si decide di "gettare le basi" per un futuro a lungo termine. Insomma, matrimonio come crescita.


3- Parlaci della protagonista, Nadja.

Nadja è una sorta di entità extra-corporea, per come l'ho immaginata e costruita e fatta agire nella vicenda. Già dal nome, che rimanda evidentemente al capolavoro di Breton, ho voluto ammantarla di quest'aura di surrealtà, proprio per evidenziare il contrasto con una protagonista che volevo, invece, assolutamente "normale". Mi sono molto divertita ad esasperare i toni, a calcare la mano sulle peculiarità dell'essere umano, ho provato a rendere anche grottesco, a volte patetico, ma spero nel senso più vivo del pathos, questa sorta di dialogo-monologo che poi si compone, sostanzialmente, dei piccoli accadimenti della vita di tutti i giorni. Insomma, fondamentalmente Nadja è una donna qualunque, a cui non succede niente di davvero rilevante. Oppure è un'eroina mistica che con un colpo di spazzola riesce a cambiare radicalmente la sua esistenza.


4- La tua scrittura narrativa è attraversata in molti passaggi dalla poesia, parlaci di questa tua scelta stilistica.

Beh, io leggo da sempre moltissima poesia, dalla poesia sono affascinata, interessata, tante volte anche annoiata, offesa, persino disperata! La poesia è una realtà che mi attrae e mi respinge con una forza che definirei senza dubbio uguale e contraria.

Questo testo, come accennavo, inizialmente doveva essere una filastrocca, poi in alcuni momenti era diventato anche una sorta di "poemetto" in versi, per azzardare una definizione, con l'ossessivo e martellante ripetersi del nome, Nadja Nadja Nadja, fino alla quasi completa spersonalizzazione e conseguente perdita di senso, se vogliamo. Alla fine, però, sono tornata alla prosa, perché mi sembrava la sua veste più funzionale, più autentica, ecco, la prassi che in quel momento sentivo più vicina alle mie corde.


5- Quale ruolo pensi abbia il matrimonio nella nostra società?

Questo davvero non lo so! È buffo, perché secondo me come istituzione gode un po' di una doppia vita. Da un lato, è legata a qualcosa di passato, alle tradizioni degli album di famiglia, alle convenzioni borghesi e anche spesso religiose, con tutto quel cerimoniale ben noto che regna sovrano nell'immaginario collettivo ormai da tante generazioni, pensiamo anche alla quantità di film sull'argomento, per esempio. Dall'altro lato, però, ad oggi mi sembra quasi che stia diventando una sorta di scelta rivoluzionaria: prendere seriamente coscienza di un'unione, prodigarsi davvero per la realizzazione di un progetto, come dicevo, che si spera duri "per tutta la vita", la volontà di stringersi in un nucleo che sia consolidato anche e soprattutto dalle leggi e dalla burocrazia, più che dai soli sentimenti. Non è facile, nell'era appunto sì della precarietà, ma anche dell'esplosione di interessi, di stimoli contrastanti, di relazioni mordi-e-fuggi, spesso, che è pratica nota nelle vite frenetiche e iper digitalizzate che conduciamo, bene o male, tutti. Eppure, incredibile a dirsi, ma c'è ancora chi sceglie di sposarsi, di mettere al mondo dei figli, di accendere dei mutui. Non so, forse alla fine non tutto è "perduto".



6- Cosa pensi delle "unioni civili" attualmente dibattute nel nostro Parlamento?

Penso che un Paese che ancora non riesce, o non vuole accordarsi sulla possibilità di legittimare finalmente le cosiddette "unioni civili" non può dirsi, realmente, un Paese civile. Mi sembra totalmente assurdo che, a tutt'oggi, nel 2015, ci sia una tale disparità di diritti e tutele, poniamo, tra le coppie eterosessuali e omosessuali. Ovviamente l'influenza della Chiesa ha il suo peso, data la tradizione estremamente cattolica dell'Italia, ma purtroppo non credo sia l'unico problema. Basta pensare all'odissea che devono affrontare ancora le ragazze, specialmente quelle molto giovani e quindi più indifese e più esposte ai rischi connessi con la pratica dell'aborto. Ma questa è un'altra storia, ancora. Davvero, spero che i vari movimenti LGBT, insieme a tutte le persone dotate di senno, riusciranno presto a far valere la loro voce.